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Le Carbonaie di Bric Blin
Da Monasterolo Casotto una carrozzabile si arrampica verso l' altura che, con pacate forme, domina l' abitato.
Bric Blin, così si chiama la montagna, le cui pendici scivolano fino ad immergersi nel corso del Casotto e la cui vetta supera di poco i mille metri.
Si dice che il toponimo di questa montagna potrebbe derivare dal nome della divinità celtica Belenos, una divinità solare venerata in tempi molto remoti che avrebbe lasciato la propria traccia oltre che in valle Casotto anche in valle Varaita ed in valle Ellero. La cima, a dire il vero, si presterebbe molto bene ad un culto solare poiché, pur essendo di modesta altitudine, essa non è oscurata dalle cime circostanti e la cerchia delle montagne più elevate la circonda a distanza, senza toglierle nulla in fatto di luminosità.
Una qualche traccia di mistero ha sempre circondato la cima di questo monte sulle cui pendici pare sia nato, molto anticamente, un monastero la cui remota presenza giustifica oggi il nome del paese.
La storia certa di questo centro, pur conservando molte incognite, ruota intorno al santuario di San Colombano dove venne ritrovata una lapide con iscrizioni latine, mentre il nome pare sia ascrivibile alla presenza in questo luogo di un antico monastero di suore benedettine collegato con l'antico convento di Pogliola.
Sul bric Blin e sul crinale che, salendo verso Viola si arrampica fino al Mindino, trovavano lavoro I carbonai soprattutto quando la legna costava poco o non la si trovava a vendere.
Le boscaglie situate nei luoghi più impervi, ai quali non era possibile accedere coi carri o con le slitte per portare via il legname venivano tagliate e trasformate in carbone. Il carbone aveva un mercato e, in epoche di miseria, anche questo lavoro era buono per portare a casa qualche soldo.
Si costruivano, quindi, le carbonaie utilizzando legna di faggio e anche di castagno; nel tardo autunno, quando la linfa degli alberi si ferma, venivano abbattute le boscaglie e la primavera seguente si costruiva la carbonaia.
Una particolare arte, quella di costruire la carbonaia. Si faceva un grosso mucchio, alto come due uomini, mettendo i pezzi di legna in verticale, tutti inclinati verso il centro della catasta dove veniva lasciato un camino per il tiraggio del fuoco che si sarebbe poi acceso.
Solo i carbonai più esperti riuscivano a costruire carbonaie efficienti e che avrebbero prodotto, poi, un buon carbone.
La catasta così eretta veniva poi completamente ricoperta di zolle di terra e solo a questo punto, quando ogni fessura, ogni possibile minimo tiraggio d' aria erano sigillati si accendeva il fuoco nel foro centrale, lasciandovi cadere braci ardenti.
Il fuoco andava alimentato di giorno in giorno, finché all' interno della carbonaia non iniziava una lenta e costante combustione senza fiamme. Si diceva "la carbonaia fuma!" e da quel momento in poi, bisognava controllare sia che il fuoco non si spegnesse, sia che non diventasse troppo vivace al fine di non vanificare tutto il lavoro con lo spegnimento o, peggio, con un incendio della catasta.
Se il tempo era bello la combustione durava circa quaranta giorni, se pioveva qualche giorno in meno. Sembra un controsenso ma la pioggia accentuava la combustione. Una pioggia persistente avrebbe ridotto a trentadue o trentacinque i giorni di attesa, un acquazzone troppo violento, invece, avrebbe potuto rovinare ogni cosa, poiché il fuoco all' interno della catasta diventava un falò mandando in fumo tanti giorni di lavoro e tanto legname.
Quando invece illavoro si concludeva bene, al quarantatreesimo giorno si cominciava a "rescovè", ossia sfilare con delicatezza i pezzi di carbone dal mucchio per infilarli nei sacchi di juta.
Quando la carbonaia finiva si allineavano i sacchi di juta, cuciti con lo spago, in un posto asciutto in attesa di portarli a valle, a dorso di mulo.
Lungo tutta questa giogaia i più ambìti carbonai erano quelli provenienti dai Castagnìn, una piccola borgata delle terre più alte, quelle dell' alpe Robert. Costoro, si diceva, avevano imparato i trucchi del mestiere dal Servan, il protagonista della storia che segue.
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